Alcuni giorni fa ho letto sul quotidiano ‘El Pais’ un interessante articolo d’opinone dello scrittore Mario Vargas Llosa dal titolo accattivante: “Mas informacion, meno conocimiento. La imparable robotización humana por Internet cambiará la vida cultural y hasta cómo opera nuestro cerebro. Cuanto más inteligente sea nuestro ordenador, más tontos seremos nosotros” ( Più informazione e meno sapere. La inarrestabile robottizazione umana tramite internet cambierà la vita culturale ed il funzionamento del nostro cervello. Quanto più è intelligente il nostro computer, quanto più sciocchi saremo noi ) (http://www.elpais.com/articulo/opinion/informacion/conocimiento/elpepiopi/20110731elpepiopi_11/Tes ). Vargas Llosa rifletteva sul contenuto di un recente libro, attualmente in corsa per il Premio Pulizer 2011 / Saggistica “The Shallows: What the Internet is Doing to Our Brains” di Nicholas Carr (titolo italiano: “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello”) e come è nel suo stile, lo fa in modo diretto e tagliente.
L’effetto Google e la plasticità del nostro cervello
Il tema è di grande attualità e interessa la vita di tutti noi: bambini, adolescenti e adulti, ormai abituati a vivere, lavorare, apprendere tramite internet; uno strumento sempre più onnipresente nel nostro quotidiano. L’aspetto chiave è appunto questo: internet è uno strumento che noi gestiamo o sta divenendo molto di più, qualcosa che di fatto modifica il nostro modo di pensare? La domanda non è banale soprattutto alla luce di recenti scoperte scientifiche che dimostrano la essenziale plasticità del nostro cervello: un tempo si credeva che la struttura del nostro cervello si formasse nei primi anni di vita e poi si evolvesse però sulla base delle stesse caratteristiche strutturali; oggi sappiamo con certezza che il cervello ha in se una strutturale plasticità: le nostre esperienze quotidiane, le nostre routine, gli strumenti che utilizziamo per informarci e apprendere hanno un impatto diretto e continuo sulla struttura celebrale e di conseguenza su come noi pensiamo a percepiamo. Un altro recente articolo su ‘El Pais’ approfondisce proprio questo tema: “Google ya es parte de tu memoria. El uso de las nuevas tecnologías altera la forma de recordar y aprender - El impacto llega a las conexiones neuronales” (Google fa parte della tua memoria. L’uso delle nuove tecnologie modifica la forma di ricordare e apprendere. L’impatto arriva alle connessioni neuronali) (http://www.elpais.com/articulo/sociedad/Google/parte/memoria/elpepisoc/20110731elpepisoc_1/Tes ). Si chiama effetto Google la tipologia di impatto che l’utilizzo di questo ormai popolarissimo strumento di ricerca e navigazione internet ha sulla nostra mente giungendo a modificarne le connessioni neuronali. Di fatto vari studi hanno dimostrato che le tipiche capacità di memorizzazione si stanno progressivamente perdendo nelle nuove generazioni: si stanno abituando a non memorizzare sapendo che comunque l’informazione è a portata di pochi click sulla tastiera di un computer. Medici e studiosi affermano che questo fondamentalmente non comporta niente di male, se si è comunque consapevoli degli effetti che comporta sulle nostre capacità e se ci concentriamo a sostituire le capacità mnemoniche con quelle procedurali e concettuali di saper utilizzare e collegare informazioni per generare vero sapere.
Apprendere ed esprimersi, cosa sta avvenendo
Ed è proprio su questo punto che sorge il cuore del dibattito stimolato dal libro di Carr. L’autore va alle radici dello sviluppo del sapere, richiamando le riflessioni di filosofi e pensatori appartenuti a varie epoche e costruendo una convincente tesi sul fatto che la tecnologia che utilizziamo per informarci ha in se un’etica: un insieme di convinzioni e aspetti che vengono dati per scontati e che hanno un impatto sostanziale sulla qualità dell’apprendimento che sviluppiamo. Con le tecnologie moderne siamo abituati ad assumere informazioni in modo rapido, frastagliato e disconnesso e tutto questo non stimola lo spirito critico e analitico che è alla base del vero sapere. Carr associa l’etica delle moderne tecnologie di informazione a quella della produzione industriale: rapida costruzione e assemblaggio basato su velocità ed efficienza che rappresentano di per se un fine più che un mezzo. Illustra la sua tesi facendo riferimento a vari studi scientifici affermando come queste emergenti dinamiche del sapere ci stanno abituando a vedere e apprendere in modo molto superficiale comportando di fatto ( proprio per la plasticità del cervello ) la perdita delle nostre capacità di concentrazione, contemplazione e riflessione e questo ha un impatto diretto anche sulla capacità di generare ed esprimere il nostro sapere. Vargas Llosa sottolinea che Carr riconosce l’importanza delle moderne tecnologie d’informazione per permettere alle persone di conoscersi e condividere esperienze aldilà delle distanze e quanto questo abbia potenzialmente un impatto positivo sullo sviluppo di persone, aziende e sistemi economici e sociali nel suo complesso. Ma tutto questo ha un prezzo: radicali trasformazione culturali e operative a livello sociale ed economico, trasformazioni nel modo di pensare, percepire ed agire. Termina la sua riflessione con un allarmante richiamo apocalittico: “Quello che significa, se lui (Carr ndr) ha ragione, è che siamo di fronte alla inarrestabilità del processo di robottizzazione dell’umanità, processo che si sviluppa e si organizza sulla base di un’intelligenza artificiale. A meno che, chiaramente, non si sia un cataclisma nucleare opera di un incidente o un’azione terroristica, che ci riporti all’età della pietra. Allora dovremo iniziare di nuovo e vedremo se questa seconda volta faremo tutto meglio”.
Ricordarsi della differenza fra informazione e sapere
A mio parere non è necessario giungere a questi scenari apocalittici per rendersi conto di quanto stia avvenendo; dobbiamo e possiamo acquisire consapevolezza nel gestire al meglio gli strumenti d’informazione tecnologici, assicurandoci che restino strumenti e non divengano parte integrante di noi stessi. Iniziamo dal non dimenticare mai la differenza sostanziale che c’è fra l’informazione e il sapere. Internet ci tiene sempre informati, in modo efficiente e veloce ci permette di richiamare specifiche informazioni a cui siamo interessati. Da qui al trasformare le informazioni in sapere la rete ci può ancora assistere ma siamo noi che dobbiamo compiere lo sforzo (e questa volta non tanto sulla base dei principi di efficienza e velocità quanto su quelli di efficacia e riflessione nei giusti tempi) per fare gli opportuni collegamenti e trasformare dette informazioni in sapere; un sapere che arricchisca il nostro modo di pensare, percepire ed agire. Questa può essere la strada giusta per un progresso reale dell’intelligenza umana (vista come capacità di rapportarsi con la realtà che ci circonda) che sappia integrare i benefici di progresso dell’intelligenza artificiale, alla ricchezza percettiva ed emozionale delle esperienze e passioni vissute veramente in prima persona. La reale espressione del nostro essere interiore e delle nostre potenzialità creative (aspetti sempre più indispensabili per gestire i periodi di cambiamento e incertezza attuali e futuri) dipendono da tutto questo.